opera nuova

La Rivista

La cicatrice non è una ferita, me è la sua memoria. Caratterizza in modo singolare, se non unico, il corpo vivente di qualcuno. Rende noto il corpo al tatto, alla mano che lo accarezza o cura. La cute è come un manto che ricopre la carne, un vestito che protegge l’interno. La cicatrice parla della distinzione e della soglia tra esterno ed interno, tra il fuori e il dentro della pelle che è stata, un tempo passato, lacerata. Paulo Coehlo ha scritto “Non mi pento dei momenti in cui ho sofferto, porto su di me le cicatrici come se fossero medaglie”. Le cicatrici sono periodi di una scrittura che può essere eseguita solo sulla pelle del corpo di qualcuno, sono scrittura sul corpo proprio. Gli autori di questo numero raccontano a partire dai loro vissuti, di un io. I periodi della scrittura sono forse essi stessi “cicatrice”? Memorie di ferita. Le parole sono forse stetti segni come un solco nell’aiuola arata, come suggerisce Fiorenza Casanova sul Quaderno mirando le foto di Danilo Pellegrini? Gli autori danno forma alla memoria incidendo stretti solchi di parole, che poi rimangono. Lì. Pronte ad essere accarezzate come la lampada di Aladino per risvegliare il genio che li riposa. Sonnecchiano: carne incandescente (Cecilia Benassi), squarci da un 1991 (Rodolfo Cerè), cica-matrice dove affiorano incognite del tempo dal moto greve (Gilberto Isella), la prima-muta (Luca Cignetti), cicatrici di graffi inciso sulla terra: La terra sotto le unghie l'hanno ugualmente contadini e assassini (Simona Kaufmann), scaricazioni interiori (Mercure Martini), accenti cadono su vocali sbagliate (Alessia Monti), cicatrici abbracciare con una mano di luce (Stella N’Djoku), Fenice phoinix, unica parola rimasta fra la cenere del vulcano.

Indice

Dare parola e immagine alla terra è un modo di prendersene cura facendo in modo che essa stessa si racconti. Grazie a quelle narrazioni la natura viene a conoscenza di sé.
Michele Amadò

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Prossima chiusura redazionale:
30 dicembre 2025

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