Il Quaderno
Il Quaderno della rivista è stampato. Condivide la stessa tematica generale scelta per ogni numero attorno alla quale degli scrittori sono invitati a scrivere, o a proporre una loro produzione. In genere sono inviati voci di rilievo in distinte discipline. Si metteranno a confronto un poeta con un fotografo o un artista e uno scienziato. La letteratura si abbevera alla fonte dell’esperienza personale del mondo fatta di relazione con altri. L’idea è quella di scoprire rapporti sotterranei tra i più diversi campi disciplinari, soprattutto laddove lo stupore muove l’uomo a indagare, scrivere, pensare, come già suggeriva Aristotele.
Mnemosine cuce frammenti di realtà sulla pelle del mondo così da imprimerli nella mente. Dea capace cucitrice di qualsiasi ferita. Fra le sue figlie vi è la musa Clio che narra storie.
Tutto affoga nella storia
si fa Tempio la memoria
recita Fiorenza Casanova, che per questo quaderno ha scritto, con ritmo vivace, che evoca, mi pare, un madrigale, rime su quattordici immagini realizzate da Danilo Pellegrini. Il fotografo rammenda a sua volta scaglie di realtà e di immaginazione, del presente e del passato. Le sue opere sono montaggi ritmati da un bordo che penetra nelle sue composizioni. Tale incunearsi, come una scheggia nella pelle, lascia un’impronta che una volta guarita muta in una cicatrice che rammenta i segni che tracciano l’impatto, spesso squinternato, con l’esistere. Le Moire, le tessitrici della vita, stendono il destino a forma di matrici. Cloto regge il filo dei giorni che ritmano l’esistenza, e lo fa con felici omofonie, cantate all’unisono con le sue due sorelle, con le quali recita fabule profetiche, come ci svelano le Pizie nel Tempio. Le immagini di Pellegrini sono forse «scherzi della mente», come quando si spiegano disegni di infanzia che tagliano la memoria con visioni riemerse dai flutti del presente, tra paesaggi reali e surreali insieme? In verità il paesaggio dell’oggi Pellegrini lo ha già visto nel passato, come racconta quel taglio che divide unendo i tempi dell’esistenza. Cicatrice come «segnatura postuma» come interpreta Gilberto Isella nel suo scritto pubblicato sulla rivista Opera Nuova nella versione digitale. Segno di riconoscimento, come può essere un graffito sull’asfalto, ma, a ben pensare, può essere cicatrice anche una parola che ha prodotto un solco sulla carta o sulla pietra o sulla terra.
Lunga e stretta è la parola
Come un solco nell’aiuola
La Parola è dunque stretto segno di una ferita rimarginata? Lo sfregio sul corpo di Eurialo nella statua, negli scatti di Pellegrini è il solco della parola scritta con la pietra che ricorda per sempre il destino meschino dell’eroe. Scheggia di bottiglia con la quale Atropo recide il ricordo evocato dallo sfregio, infatti, a volte, certo non vorremmo ricordare. L’incanto delle immagini cucite da Pellegrini trasforma la dura realtà fotografata in opera d’arte che mette in opera la verità, come ben declama Casanova.
«l’immagine non mente».
Michele Amadò